Gli Stati Uniti hanno dato moltissimo alla musica moderna, è
inutile sottolinearlo. Qui è nato il jazz, qui si sono sviluppate diverse forme
di musica folk autoctone (come il country, ad esempio), qui è nato il Rock ’n’ Roll
con Elvis Presley; senza contare il fior di musicisti che, attratti da
Hollywood, hanno lavorato nell’industria del cinema.
Eppure, nella mia personalissima formazione musicale, hanno
contato decisamente più gli inglesi. Per un qualche motivo, senza averla in
alcun modo razionalizzata, percepivo sempre una qualche distanza che non mi
permetteva di amare senza riserve la musica americana. Sono stato teenager negli
anni ottanta, e questo vuol dire in particolare il pop inglese di Duran Duran,
Wham, Spandau Ballet ed altri. Non ho mai amato particolarmente nessuno di
loro, perché già allora trovavo abbastanza respingente la loro immagine patinata
rivolta in particolare a un pubblico di ragazzine, ma è indubbio che, se
ripenso agli anni della mia adolescenza, la colonna sonora è quella di Wild
Boys, Save a Prayer, Last Christmas e simili. L’America in quel periodo
esprimeva fenomeni ugualmente molto popolari, come Michael Jackson e Madonna ai
suoi inizi, ma sono fenomeni che non mi sono mai appartenuti veramente.
In realtà, quello che stavo cercando era una sovrastruttura più
aderente alle mie necessità. La classica ballata d’amore adolescenziale non
poteva soddisfarmi, così come l’accattivante, fluidissima, gioiosa tessitura
musicale di un Jackson. Influenzato dai gusti di mia sorella maggiore, trovai
la mia dimensione nel rock. Una struttura ritmica più robusta, una necessaria assenza
di sdilinquimenti, una sostanziale indifferenza (da parte mia) verso qualunque
forma di “contenuto” che distraesse dal dato musicale, sono tutti fattori che
mi hanno portato a considerare quel tipo di musica come più adatto a me, e in
qualche modo come più “maschile”, avendo intuitivamente chiaro questo concetto ben
prima di averlo elaborato razionalmente.
Non che quella musica non esprimesse dei contenuti, al di là
del significato letterale dei testi. È chiaro che il rock in quegli anni si
portava dietro un’ideologia che ormai non era più trasgressiva, ma si
considerava comunque anticonformista, e si incarnava in un’identità che veniva
percepita come contrapposta agli onnipresenti paninari e ai più elusivi dark. Sono
sempre stato indifferente a questi aspetti identitari, e non ho mai assunto né l’atteggiamento
né il look tipici del metallaro. Men che meno mi sono mai considerato un
appassionato di musica metal, ma resta il fatto che il primo amore, a cui
ancora torno quando voglio solo rilassarmi e spegnere il cervello, sono stati
gli inglesissimi Iron Maiden. Questi simpatici cialtroni, che per i testi si
ispiravano a letteratura, cinema, tv, e insomma a tutto pur di non dire
qualcosa di banalmente esistenziale, sono stati i primi in cui ho percepito che,
bella o brutta che fosse, quello che a loro interessava era solo fare musica. La
musica come dato puro, che in sé esprimeva tutto quello che c’era da dire,
senza bisogno di ulteriori specificazioni. In questo approccio c’erano già, in
nuce, i motivi che poi mi hanno portato a interessarmi alla musica classica, e
quelli per cui, al contrario, mi sono sempre sentito distante dalla musica
italiana, che ho recuperato solo più tardi. Il non conoscere l’inglese aiutava,
per cui la voce era solo uno strumento, testi e titoli non avevano significato.
Il fatto che invece oggi l’inglese lo sappia mi mette a volte in situazioni di
lieve imbarazzo, ma ormai sono talmente abituato a non ascoltare le parole che
non ci faccio più caso.
Affinando i gusti, il vertice per me insuperato di questo
approccio musicale “puro” l’ho trovato nei Led Zeppelin, ancora inglesi (e va
detto che nel loro caso più che in altri è bene non approfondire il significato
dei testi). Altri gruppi inglesi per me importanti sono stati gli Smiths, i
Pink Floyd, gli U2 e parecchi altri.
E gli americani? Sullo sfondo: Springsteen era
concettualmente un cantautore che voleva raccontare storie che a me allora non
interessavano, Prince bravissimo ma troppo funky, i Guns ‘n Roses divertenti ma
niente di più, e anche i Metallica, che pure in teoria avrei dovuto amare, mi
sembravano più interessati a portare avanti un loro discorso su velocità e
rumore che a fare musica. Col tempo li ho recuperati un po’ tutti, ma non è la
stessa cosa.
A ben vedere, fra gli anni ottanta e novanta, un gruppo
americano che per me è stato importante c’è, e sono i Rem. Poi, negli anni
novanta, è esploso il grunge di Seattle, ma in quel periodo avevo troppi cazzi
miei per la testa per occuparmi anche di quelli degli altri, e ne sono stato istintivamente
lontano. Cinicamente, il fatto che sia Curt Cobain che Layne Staley siano morti
in quel modo mi porta a dire che almeno erano sinceri: bravi, ragazzi, ho
apprezzato il gesto. Del rap, altro genere tipicamente americano, non mi è mai
importato gran che, e men che meno di hip-hop e altre minchiate simili. Negli
anni duemila, se c’è qualcuno in grado di dirmi a grandi linee cosa sia
successo sulla scena musicale gliene sarei grato. In generale, quel che vedo è
una grande frammentazione, senza alcuna direttrice chiara. Ma questo adesso sarebbe
tutto un altro discorso.
Per me tutti i gruppi che tu nomini sono sconosciuti;penso che la musica popolare vada per generazioni,mentre la musica classica è al di sopra e unisce le generazioni.
RispondiEliminaAnche se di origini russe e di cultura ebraica, e quindi americana solo di naturalizzazione, Regina Spektor a me piace molto...
RispondiElimina