giovedì 23 agosto 2012

L’America e me pare 5: la musica


Gli Stati Uniti hanno dato moltissimo alla musica moderna, è inutile sottolinearlo. Qui è nato il jazz, qui si sono sviluppate diverse forme di musica folk autoctone (come il country, ad esempio), qui è nato il Rock ’n’ Roll con Elvis Presley; senza contare il fior di musicisti che, attratti da Hollywood, hanno lavorato nell’industria del cinema.
Eppure, nella mia personalissima formazione musicale, hanno contato decisamente più gli inglesi. Per un qualche motivo, senza averla in alcun modo razionalizzata, percepivo sempre una qualche distanza che non mi permetteva di amare senza riserve la musica americana. Sono stato teenager negli anni ottanta, e questo vuol dire in particolare il pop inglese di Duran Duran, Wham, Spandau Ballet ed altri. Non ho mai amato particolarmente nessuno di loro, perché già allora trovavo abbastanza respingente la loro immagine patinata rivolta in particolare a un pubblico di ragazzine, ma è indubbio che, se ripenso agli anni della mia adolescenza, la colonna sonora è quella di Wild Boys, Save a Prayer, Last Christmas e simili. L’America in quel periodo esprimeva fenomeni ugualmente molto popolari, come Michael Jackson e Madonna ai suoi inizi, ma sono fenomeni che non mi sono mai appartenuti veramente.
In realtà, quello che stavo cercando era una sovrastruttura più aderente alle mie necessità. La classica ballata d’amore adolescenziale non poteva soddisfarmi, così come l’accattivante, fluidissima, gioiosa tessitura musicale di un Jackson. Influenzato dai gusti di mia sorella maggiore, trovai la mia dimensione nel rock. Una struttura ritmica più robusta, una necessaria assenza di sdilinquimenti, una sostanziale indifferenza (da parte mia) verso qualunque forma di “contenuto” che distraesse dal dato musicale, sono tutti fattori che mi hanno portato a considerare quel tipo di musica come più adatto a me, e in qualche modo come più “maschile”, avendo intuitivamente chiaro questo concetto ben prima di averlo elaborato razionalmente.
Non che quella musica non esprimesse dei contenuti, al di là del significato letterale dei testi. È chiaro che il rock in quegli anni si portava dietro un’ideologia che ormai non era più trasgressiva, ma si considerava comunque anticonformista, e si incarnava in un’identità che veniva percepita come contrapposta agli onnipresenti paninari e ai più elusivi dark. Sono sempre stato indifferente a questi aspetti identitari, e non ho mai assunto né l’atteggiamento né il look tipici del metallaro. Men che meno mi sono mai considerato un appassionato di musica metal, ma resta il fatto che il primo amore, a cui ancora torno quando voglio solo rilassarmi e spegnere il cervello, sono stati gli inglesissimi Iron Maiden. Questi simpatici cialtroni, che per i testi si ispiravano a letteratura, cinema, tv, e insomma a tutto pur di non dire qualcosa di banalmente esistenziale, sono stati i primi in cui ho percepito che, bella o brutta che fosse, quello che a loro interessava era solo fare musica. La musica come dato puro, che in sé esprimeva tutto quello che c’era da dire, senza bisogno di ulteriori specificazioni. In questo approccio c’erano già, in nuce, i motivi che poi mi hanno portato a interessarmi alla musica classica, e quelli per cui, al contrario, mi sono sempre sentito distante dalla musica italiana, che ho recuperato solo più tardi. Il non conoscere l’inglese aiutava, per cui la voce era solo uno strumento, testi e titoli non avevano significato. Il fatto che invece oggi l’inglese lo sappia mi mette a volte in situazioni di lieve imbarazzo, ma ormai sono talmente abituato a non ascoltare le parole che non ci faccio più caso.
Affinando i gusti, il vertice per me insuperato di questo approccio musicale “puro” l’ho trovato nei Led Zeppelin, ancora inglesi (e va detto che nel loro caso più che in altri è bene non approfondire il significato dei testi). Altri gruppi inglesi per me importanti sono stati gli Smiths, i Pink Floyd, gli U2 e parecchi altri.
E gli americani? Sullo sfondo: Springsteen era concettualmente un cantautore che voleva raccontare storie che a me allora non interessavano, Prince bravissimo ma troppo funky, i Guns ‘n Roses divertenti ma niente di più, e anche i Metallica, che pure in teoria avrei dovuto amare, mi sembravano più interessati a portare avanti un loro discorso su velocità e rumore che a fare musica. Col tempo li ho recuperati un po’ tutti, ma non è la stessa cosa.
A ben vedere, fra gli anni ottanta e novanta, un gruppo americano che per me è stato importante c’è, e sono i Rem. Poi, negli anni novanta, è esploso il grunge di Seattle, ma in quel periodo avevo troppi cazzi miei per la testa per occuparmi anche di quelli degli altri, e ne sono stato istintivamente lontano. Cinicamente, il fatto che sia Curt Cobain che Layne Staley siano morti in quel modo mi porta a dire che almeno erano sinceri: bravi, ragazzi, ho apprezzato il gesto. Del rap, altro genere tipicamente americano, non mi è mai importato gran che, e men che meno di hip-hop e altre minchiate simili. Negli anni duemila, se c’è qualcuno in grado di dirmi a grandi linee cosa sia successo sulla scena musicale gliene sarei grato. In generale, quel che vedo è una grande frammentazione, senza alcuna direttrice chiara. Ma questo adesso sarebbe tutto un altro discorso.

2 commenti:

  1. Per me tutti i gruppi che tu nomini sono sconosciuti;penso che la musica popolare vada per generazioni,mentre la musica classica è al di sopra e unisce le generazioni.

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  2. Anche se di origini russe e di cultura ebraica, e quindi americana solo di naturalizzazione, Regina Spektor a me piace molto...

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