domenica 24 febbraio 2013

L'America e me parte 8 bis: il cinema, sei mesi dopo


Che poi uno si chiede se resta qualcosa da dire a sei mesi di distanza. In sé, non molto.

Qualche spunto però me l’ha dato il cinema. Primo, che dovrebbero trovare un nuovo modo per descrivere la provincia americana inquietante. Ho recuperato per disperazione l’Halloween di Rob Zombie, e a quella roba lì non posso davvero più credere. Mica il pazzo assassino, che Carpenter l’abbia in gloria. Dico piuttosto le villette immerse nel buio, in viali alberati loschi e autunnali in cui non passa un’anima, che se urli e chiami aiuto nessuno ti sentirà mai. Quelle case talmente insonorizzate che, quando chiudi la porta d’ingresso, dentro puoi sparare, spaccare ogni cosa, torturare innocenti, gridare a squarciagola senza che nessuno se ne accorga. 


È impossibile. Ed è proprio una questione ambientale e acustica, non di empatia dell’americano medio. Ne ho visto posti che, nella loro freddezza, se anche mi fossi messo a urlare in strada sono sicuro che nessuno sarebbe uscito di casa. Tipo il distretto universitario di Chicago, ma forse è solo che d’estate era deserto. Oppure le villette di Beverly Hills, ma almeno lì si prenderebbero il disturbo di chiamare la polizia. E tuttavia mi sembrerebbe molto più inquietante se Michael Myers compisse le sue stragi notturne in una strada ben illuminata, in cui da fuori si sentisse tutto, ma nessuno muovesse un dito per menefreghismo o indifferenza.

Secondo, ho trovato un paio di film che riassumono in modo perfetto la mia esperienza di determinati luoghi.

Los Angeles sono i primi quindici minuti di Drive, di Nicolas Winding Refn: la strada come essenza della città, la notte illuminata da una cappa di smog luminoso, i semafori, gli elicotteri per il controllo del traffico, l’aspetto di periferia infinita, il quartiere di grattacieli che appare da lontano come unico punto di riferimento.



Chicago è Source Code, del figlio di David Bowie Duncan Jones: il treno su cui è ambientato tutto il film, che è lo stesso che ho preso io dall’aeroporto, la fotografia luminosa, la luce abbagliante del lago Michigan, i grattacieli non oppressivi ma persino belli, il finale ottimista in Millennium Park di fronte alla sfera riflettente di Anish Kapoor.



Sarà un caso che entrambi i film sono di registi europei? Non credo.