Visto che siamo in tema nerd, non posso esimermi dall’affrontare
brevemente anche questo aspetto. Il mio rapporto col fumetto americano è
ambivalente. Distinguo tre filoni: le strisce, i comic book della major, le
graphic novel.
Sul primo fronte, niente da dire. Senza stare a citarle
tutte, sono tantissime le strisce, vecchie e nuove, che per me sono state
importanti: i Peanuts, Calvin & Hobbes, Pogo, Doonesbury, Dilbert, Wizard
of Id. Oserei dire che la striscia è la forma di fumetto più genuinamente
americana, legata al boom della stampa quotidiana di cui il buon William
Randolph Hearst, di cui ho già parlato, è stato uno dei più discussi campioni. Per
inciso, pare che lui fosse un appassionato e che abbia supportato strisce oggi
considerate classiche ma all’epoca non proprio popolarissime fra il pubblico di
lettori, come il Krazy Kat di Herriman.
Una menzione particolare se la merita il Mickey Mouse di
Gottfredson, quello degli anni trenta: non solo una striscia che mescola in
modo magistrale avventura e umorismo, ma la più perfetta incarnazione della
parte migliore dello spirito americano: intraprendente, generoso, ottimista
nonostante tutto, e nonostante la depressione che in quegli anni devastava la
vita reale di milioni di persone. Gli anni trenta, ormai si sarà capito, sono
un periodo della storia americana che amo particolarmente, più dei “ruggenti
anni venti” che li hanno preceduti. Sarà che la depressione fa da contraltare
con il necessario lato oscuro, ma quelli sono stati gli anni d’oro di
Hollywood, con l’avvento del sonoro e i grandi divi, gli anni d’oro del fumetto
avventuroso, gli anni dell’art deco, gli anni dei primi, titanici grattacieli. Topolino,
quel Topolino, ancora a metà fra mondo rurale e grande metropoli, è l’incarnazione
perfetta di tutto questo. E rimane una fedele cartina di tornasole della
società americana anche dopo, nel successivo imborghesimento.
Parlare di comic book significa parlare di supereroi, e devo
dire che con loro ho sempre avuto un rapporto controverso, non perché li
considerassi improbabili, ma perché, fin da ragazzino, mal sopportavo il
concetto di continuity. Poi
intendiamoci, i fondamentali li ho letti e ci sono alcune versioni adulte di
personaggi come Batman alle quali sono particolarmente affezionato. Ma qui
sconfiniamo nella categoria delle graphic
novel, mentre confesso senza problemi di non essere mai stato un appassionato
lettore di fumetto seriale americano. Escludendo, e lo infilo qui anche se non
sono supereroi, quella straordinaria commedia umana che sono stati i paperi di
Barks.
Sulle graphic novel,
ammiro moltissimo Eisner e non discuto il suo ruolo storico fondamentale, ma come
narratore non l'ho amato altrettanto. Ho amato invece Spiegelman, Miller al suo
meglio, Chadwick, i fratelli Hernandez, soprattutto Gilbert. Poi ci sarebbero gli
europei, soprattutto inglesi, che il fumetto americano ha adottato, come Moore
e Gaiman. Ma l’obiettivo qui era raccontare in breve il mio personale rapporto con
il fumetto americano, non scrivere un trattato.
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