martedì 28 agosto 2012

Los Angeles


Los Angeles, come ormai questo viaggio mi ha abituato, mi accoglie con una faccia ancora diversa di questo sfaccettato ritratto americano. Si sente dire spesso che Los Angeles è una brutta città, o che è il primo vero esempio di megalopoli postmoderna, senza centro, senza punti di riferimento, senza senso. E tuttavia questo non basta, per capire davvero va vista dal vivo. Ed io, da quel che ho visto finora, comincio a capire. Los Angeles è un’enorme periferia suburbana tenuta insieme da un tessuto connettivo di strade e autostrade che la attraversano in ogni direzione, percorse da un traffico pulsante, continuo, ossessivo ma mai caotico, scandito dal ritmo implacabile dei semafori. Innavigabile senza una mappa o un gps, questo enorme labirinto stradale si affaccia su un anonimo panorama di ville o villette residenziali, sulle strade minori, o di palazzine ad uso commerciale o servizi, su quelle più grandi. Le autostrade, vere e proprie tangenziali interne che corrono sopraelevate al tessuto urbano, fanno ovviamente storia a sé, con il loro spropositato numero di corsie e gli svincoli che si intrecciano come figure astratte. Le strade larghe, spesso affiancate da palmizi, e gli edifici bassi fanno sì che non si abbia mai quel senso di straniamento che si porta dietro l’altra grande “megalopoli postmoderna” che è Tokyo. Peccato che il sole, che qui batte in modo pressoché costante per tutto l’anno, sia spesso velato non dalla nebbia, come a San Francisco, ma dallo smog degli innumerevoli tubi di scappamento.

I luoghi “glamour”, come Beverly Hills e Bel Air, sono ugualmente anonimi, per quanto spalmati con un’evidente patina di ricchezza che è l’unico vero tratto distintivo. Rodeo Drive, che è la via più famosa di Beverly Hills, è un susseguirsi di boutique di lusso ospitate in bassi edifici cubici, quasi fosse un outlet di provincia:



L’unico fremito di creatività lo dà Dior, che addobba il suo cubo (ma in realtà solo perché il negozio è in fase di ristrutturazione) come una borsa gigante:


In Rodeo Drive appare anche quello che è il monumento più simbolicamente appropriato che si possa immaginare, un manichino da grandi magazzini in versione sbrilluccicante, un corpo senza testa che sembra un inno alla vacuità del lusso. Se l’artista era ironico e consapevole di quel che faceva, è un genio assoluto. Stranamente, sembra che gli abitanti del luogo non colgano la sottile ironia.


Di Sunset Boulevard, il famoso Viale del Tramonto di wilderiana memoria, dirò che, semaforo per semaforo, l’ho percorso in macchina quasi per intero, e che a parte i cartelloni pubblicitari più grandi sembra di essere a Sant’Anna, con tutto il rispetto per la Sarzanese e i suoi dintorni.


E Hollywood? Hollywood è ormai un quartiere da bonificare. Gli studios notoriamente non sono più qui, tutti spostatisi verso Burbank, un altro sobborgo di LA. Quello che resta è ormai rivolto solo ai turisti, ed è animato da una fauna umana pittoresca se non, addirittura, vagamente inquietante. Tristezza infinita, in particolare, di fronte ai pezzentissimi cosplayer prezzolati che cercano di accalappiare l’ignaro turista per la foto di rito.


La Walk of Fame è notoriamente una baggianata, visto che le star pagano per avere la loro bella stella su Hollywood Boulevard. Ne ho fotografata solo una, di uno dei pochi divi che rispetto e che sicuramente NON ha pagato:


Il glorioso Chinese Theatre, con la sua estetica da vecchia Hollywood anni trenta, è invece interessante nella sua improntitudine. Di fronte, le famose impronte dei divi impresse su cemento, che sono un’altra cosa rispetto alla Walk of Fame ma che si sono rivelate ugualmente deludenti. Anche qui, ne fotografo solo una degna di rispetto.



E la scritta? La famosa scritta Hollywood, icona della fabbrica dei sogni? Eccola lassù, su un sobborgo che, non fosse per le palme al posto degli abeti, potrebbe essere San Filippo.


2 commenti:

  1. Perchè Los Angeles si chiama così? Mi sembra tutto un po' deludente.

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  2. Sul perché esatto del nome non so dire, ma rientra perfettamente nella toponomastica spagnola che caratterizza tutta la California. Sul deludente: esteticamente sì, ma me lo aspettavo. In realtà sto trovando tutto molto interessante, per cui sono tutt'altro che deluso.

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