martedì 28 agosto 2012

L’America e me, parte 7: la politica


Se c’è un aspetto che pensavo di ammirare del sistema americano era quello politico, non tanto per i suoi reali contenuti, ma essenzialmente per l’efficienza istituzionale. L’ammirazione istituzionale rimane, ma per il resto sono di fronte a una di quelle situazioni ambigue in cui un tratto psicologico apprezzabile dal punto di vista collettivo non lo è altrettanto dal punto di vista individuale. La coincidenza con il mio viaggio della convention repubblicana, che i media stanno coprendo estensivamente, mi ha fornito molti spunti di riflessione.
Quello che mi pare di aver capito è che il popolo americano, privo di identità storica e privo di identità etnica, abbia forgiato la sua identità essenzialmente intorno al concetto-mito di Nazione, inteso come sistema storico e istituzionale dotato di un destino universale, assunto con i suoi valori ma anche con tutti i suoi aspetti propriamente mitologici. A livello di percezione mitica della propria nazione gli Stati Uniti non sono molto distanti dalla Roma antica o da altri imperi analoghi, tutti dotati di miti di fondazione che ne giustificavano e legittimavano l’esistenza. Nessuno stato europeo, considerato nella sua forma moderna, può vantare un mito di fondazione altrettanto potente di quello americano.
Collegata a questa identità primaria, ce n’è una secondaria data dall’appartenenza politica. Le due identità sono collegate, nel senso che entrambi i principali partiti sono intimamente convinti di incarnare i valori della Nazione e di fare quello che è meglio per Lei. Insomma, per riassumere: patriottismo e partigianeria.
In Europa un patriottismo mitico-mistico come quello americano è impossibile, e la partigianeria politica è legata più che altro a concrete questioni di interessi personali o di classe, o semmai a appartenenze ideologiche che non hanno a che fare con l’identità nazionale.
Patriottismo mitico e partigianeria identitaria, intesi a livello collettivo, sono fattori potenti, e possono essere alla base di un sistema efficiente e per certi versi ammirevole come quello americano. Ma a livello personale, da Europeo, e in particolare da cinico Italiano (perché nessuno è più cinico riguardo al potere e al concetto di nazione di noi Italiani) sono tratti che non posso e non potrò mai condividere.
La convention repubblicana (ma non dubito che per i democratici funzioni più o meno allo stesso modo) è un eccellente esempio di come funzionino queste due identità collegate. Nei discorsi dei vari leader ci sono pochissimi contenuti politici veri, intesi come proposte articolate su temi concreti. Piuttosto, ci sono molte dichiarazioni di principio tese a dimostrare che la propria linea è quella buona per la Nazione, mentre quella dell’avversario non lo è; e soprattutto, molte dichiarazioni tese a dimostrare la capacità di leadership del candidato. C’è bisogno di un leader forte, questo è il messaggio. Un leader che eserciti la sua leadership con autorevolezza e che, con mano sicura ma paterna, guidi la Nazione fuori da questi tempi difficili. Per veicolare questo messaggio si ricorre a qualunque espediente di marketing politico, puntando sull’emotività dell’elettore più che sulla sua razionalità, sulla capacità di ispirare fiducia più che di proporre soluzioni. Tutto il mondo è paese, si dirà, ma è questione di gradi e di modi. Il modi e i contenuti della comunicazione politica americana sono essenzialmente quelli adottati da Berlusconi, che a questi si è ispirato. Lui di suo ci ha aggiunto l’aspetto buffonesco e il disprezzo per la legge, e chiaramente non si appella alla Nazione ma a un ideale puramente individualistico: vi prometto che potrete farvi i cazzi vostri, così come me li faccio io. Ma questo sarebbe tutto un altro discorso, e questa non è la sede adatta.

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