«Il navigatore italiano è sbarcato nel nuovo mondo.»
«Come erano i nativi? »
«Molto amichevoli. »
Con queste parole, in codice per motivi di sicurezza, fu
comunicato ai vertici dell’amministrazione americana il successo del primo
esperimento di reazione nucleare controllata della storia, la Chicago Pile-1.
L’esperimento fu condotto da Enrico Fermi, fuggito negli Stati Uniti perché la
moglie era ebrea. Aveva già vinto il premio Nobel per i sui studi ed esperimenti
italiani, con il suo team passato alla storia come i Ragazzi di via Panisperna,
ed era già considerato uno dei più brillanti scienziati del ventesimo secolo. A
lui è dedicata un’intera classe di particelle, il massimo riconoscimento
scientifico americano, un elemento chimico e chissà cos’altro.
Scientificamente, l’esperimento fu un risultato eccezionale,
e davvero non è sbagliato dire che Fermi è stato il padre della fisica delle
particelle, il cui ultimo capitolo è l’appena scoperto bosone di Higgs.
Quell’esperimento, tuttavia, aprì la strada anche ad ogni applicazione pratica
dell’energia nucleare, pacifica o militare che fosse. E militare fu la prima,
tristemente nota. Tutta la scienza di allora, Einstein in testa, si schierò per
lo sviluppo della bomba atomica, per paura che ci arrivasse prima Hitler.
Pensando alla situazione in cui si trovavano, non posso che condividere.
Il reattore di Fermi fu la base per il progetto Manhattan.
Fu un progetto gigantesco, paragonabile in dimensione e ricadute ad altre grandi
imprese americane, come l’epopea spaziale. Servivano soldi e volontà, e gli
americani li avevano. Nel più assoluto segreto, decine di migliaia di persone
furono coinvolte in numerosi siti in tutti gli Stati Uniti, e per arricchire
l’uranio fu costruito quello che ancora oggi detiene il primato di più grande
edificio mai costruito. Fermi era la mente di gran lunga più brillante che
lavorò al progetto. Oppenheimer, che lo coordinò, era un fisico teorico di
medio livello, ed è oggi ricordato soprattutto per l’approssimazione di
Born-Oppenheimer, che è senz’altro utilissima, ma è sostanzialmente una
versione quantistica dell’approssimazione classica per cui si trascura la massa
minore in molti problemi gravitazionali. Insomma, più uno strumento utile per i
calcoli che un vero avanzamento teorico.
E fu così che si arrivò alla prima esplosione nucleare della
storia, nome in codice Trinity, avvenuta in New Mexico il 16 luglio del ‘45. La
seconda sarebbe avvenuta qualche settimana dopo, bruciando in pochi secondi
200.000 esseri umani.
Qui però si esce dal campo della scienza, e si entra in
quello della politica. In linea di principio, riconosco che un governo ha prima
di tutto il dovere di difendere i propri cittadini, e in quest’ottica diventa quasi
giustificabile l’uccisione di centinaia di migliaia di nemici per salvare anche
solo un decimo dei propri. Ma non riesco a credere che non fosse possibile
un’azione dimostrativa, o individuare un bersaglio che fosse esclusivamente
militare. Penso che Truman questi interrogativi se li sia posti. E penso che,
con lo sgomento nel cuore, abbia deciso che era meglio se l’ipoteca sul futuro,
fosse anche un’ipoteca di terrore, la mettessero gli americani. Il messaggio,
forte e chiaro per tutti gli altri, era: ce l’abbiamo, e all’occorrenza non
abbiamo paura ad usarla.
Lo sgomento fu anche il sentimento che pervase tutti gli
scienziati coinvolti, Fermi compreso. E sia lui, che Einstein, che quasi tutti
gli altri, si opposero a futuri sviluppi, come l’ancor più devastante bomba
all’idrogeno.
Fin qui la storia. Ed è una storia che mi tocca
personalmente per un’infinità di motivi. Anche se non praticante, un uomo di
scienza rimane un uomo di scienza. E la chimica teorica, che ho studiato io, ha
molto a che fare con il suo lavoro. In fondo, protoni ed elettroni sono
fermioni.
È poi una storia che parla di Italia, di Europa, di America.
Si tende a pensare gli Stati Uniti come un paese scientificamente
all’avanguardia, ma in realtà la grande scienza del ventesimo secolo è europea:
Einstein, Fermi, Bohr, Dirac, Heisemberg e compagnia. L’America però l’ha accolta,
e le ha dato libertà e incentivi. L’America come terra delle opportunità. E
quando c’è stato da sporcarsi le mani, l’America lo ha fatto. Chapeau.
Sull’Italia, la storia di Fermi dice che si può fare grande
scienza anche qui, e sono in tanti che ancora lo dimostrano, spesso facendo
come lui, andando altrove.
Sull’Europa, va detto che in questo campo continua a
esercitare la sua leadership, e infatti l’LHC, il grande acceleratore che ha
trovato l’Higgs, l’abbiamo costruito noi (e sia benedetta l’Unione Europea, che
ci costringe a fare la nostra parte almeno con il CERN).
E insomma, tutto questo per dire che qui, a Chicago, ho
sentito di dover fare il mio piccolo, personale pellegrinaggio. Sul luogo dell’esperimento
(l’edificio ormai non esiste più) c’è una statua di Henry Moore con una targa
commemorativa. Lì vicino c’è anche il cimitero dove è sepolto Fermi, ma l’ho
trovato chiuso e mi sono fermato ai cancelli. È morto da americano, poiché aveva
chiesto la cittadinanza. Ed è morto di tumore, ancora giovane, ucciso da quelle
radiazioni che aveva sempre studiato. Spero che riposi in pace.
Chiara: tutto molto interessante, mi fai conoscere anche a me tante cose....
RispondiEliminaAde:non riuscivo più a risponderti perchè era sparito il mio nome, ho chiamato Giacomo in soccorso spero ora ti arrivino i commenti.
Sì, ora arrivano, tutto bene.
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