sabato 18 agosto 2012

Enrico Fermi, o anche l’America e me, parte 4: la scienza


«Il navigatore italiano è sbarcato nel nuovo mondo.»
«Come erano i nativi? »
«Molto amichevoli. »

Con queste parole, in codice per motivi di sicurezza, fu comunicato ai vertici dell’amministrazione americana il successo del primo esperimento di reazione nucleare controllata della storia, la Chicago Pile-1. L’esperimento fu condotto da Enrico Fermi, fuggito negli Stati Uniti perché la moglie era ebrea. Aveva già vinto il premio Nobel per i sui studi ed esperimenti italiani, con il suo team passato alla storia come i Ragazzi di via Panisperna, ed era già considerato uno dei più brillanti scienziati del ventesimo secolo. A lui è dedicata un’intera classe di particelle, il massimo riconoscimento scientifico americano, un elemento chimico e chissà cos’altro.
Scientificamente, l’esperimento fu un risultato eccezionale, e davvero non è sbagliato dire che Fermi è stato il padre della fisica delle particelle, il cui ultimo capitolo è l’appena scoperto bosone di Higgs. Quell’esperimento, tuttavia, aprì la strada anche ad ogni applicazione pratica dell’energia nucleare, pacifica o militare che fosse. E militare fu la prima, tristemente nota. Tutta la scienza di allora, Einstein in testa, si schierò per lo sviluppo della bomba atomica, per paura che ci arrivasse prima Hitler. Pensando alla situazione in cui si trovavano, non posso che condividere.
Il reattore di Fermi fu la base per il progetto Manhattan. Fu un progetto gigantesco, paragonabile in dimensione e ricadute ad altre grandi imprese americane, come l’epopea spaziale. Servivano soldi e volontà, e gli americani li avevano. Nel più assoluto segreto, decine di migliaia di persone furono coinvolte in numerosi siti in tutti gli Stati Uniti, e per arricchire l’uranio fu costruito quello che ancora oggi detiene il primato di più grande edificio mai costruito. Fermi era la mente di gran lunga più brillante che lavorò al progetto. Oppenheimer, che lo coordinò, era un fisico teorico di medio livello, ed è oggi ricordato soprattutto per l’approssimazione di Born-Oppenheimer, che è senz’altro utilissima, ma è sostanzialmente una versione quantistica dell’approssimazione classica per cui si trascura la massa minore in molti problemi gravitazionali. Insomma, più uno strumento utile per i calcoli che un vero avanzamento teorico.

E fu così che si arrivò alla prima esplosione nucleare della storia, nome in codice Trinity, avvenuta in New Mexico il 16 luglio del ‘45. La seconda sarebbe avvenuta qualche settimana dopo, bruciando in pochi secondi 200.000 esseri umani.
Qui però si esce dal campo della scienza, e si entra in quello della politica. In linea di principio, riconosco che un governo ha prima di tutto il dovere di difendere i propri cittadini, e in quest’ottica diventa quasi giustificabile l’uccisione di centinaia di migliaia di nemici per salvare anche solo un decimo dei propri. Ma non riesco a credere che non fosse possibile un’azione dimostrativa, o individuare un bersaglio che fosse esclusivamente militare. Penso che Truman questi interrogativi se li sia posti. E penso che, con lo sgomento nel cuore, abbia deciso che era meglio se l’ipoteca sul futuro, fosse anche un’ipoteca di terrore, la mettessero gli americani. Il messaggio, forte e chiaro per tutti gli altri, era: ce l’abbiamo, e all’occorrenza non abbiamo paura ad usarla.
Lo sgomento fu anche il sentimento che pervase tutti gli scienziati coinvolti, Fermi compreso. E sia lui, che Einstein, che quasi tutti gli altri, si opposero a futuri sviluppi, come l’ancor più devastante bomba all’idrogeno.

Fin qui la storia. Ed è una storia che mi tocca personalmente per un’infinità di motivi. Anche se non praticante, un uomo di scienza rimane un uomo di scienza. E la chimica teorica, che ho studiato io, ha molto a che fare con il suo lavoro. In fondo, protoni ed elettroni sono fermioni.
È poi una storia che parla di Italia, di Europa, di America. Si tende a pensare gli Stati Uniti come un paese scientificamente all’avanguardia, ma in realtà la grande scienza del ventesimo secolo è europea: Einstein, Fermi, Bohr, Dirac, Heisemberg e compagnia. L’America però l’ha accolta, e le ha dato libertà e incentivi. L’America come terra delle opportunità. E quando c’è stato da sporcarsi le mani, l’America lo ha fatto. Chapeau.
Sull’Italia, la storia di Fermi dice che si può fare grande scienza anche qui, e sono in tanti che ancora lo dimostrano, spesso facendo come lui, andando altrove.
Sull’Europa, va detto che in questo campo continua a esercitare la sua leadership, e infatti l’LHC, il grande acceleratore che ha trovato l’Higgs, l’abbiamo costruito noi (e sia benedetta l’Unione Europea, che ci costringe a fare la nostra parte almeno con il CERN).
E insomma, tutto questo per dire che qui, a Chicago, ho sentito di dover fare il mio piccolo, personale pellegrinaggio. Sul luogo dell’esperimento (l’edificio ormai non esiste più) c’è una statua di Henry Moore con una targa commemorativa. Lì vicino c’è anche il cimitero dove è sepolto Fermi, ma l’ho trovato chiuso e mi sono fermato ai cancelli. È morto da americano, poiché aveva chiesto la cittadinanza. Ed è morto di tumore, ancora giovane, ucciso da quelle radiazioni che aveva sempre studiato. Spero che riposi in pace.





2 commenti:

  1. Chiara: tutto molto interessante, mi fai conoscere anche a me tante cose....
    Ade:non riuscivo più a risponderti perchè era sparito il mio nome, ho chiamato Giacomo in soccorso spero ora ti arrivino i commenti.

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